lunedì 24 gennaio 2011
Le parole sbagliate. N.1: partecipazione.
In questi tempi bui, sembra ci sia una gara spasmodica all'uso più improprio delle parole, del lessico del quale la nostra duttile lingua italiana è ricca. L'uso improprio di un termine, nella nostra democrazia mediatica, ingenera due conseguenze convergenti: il titolo a tutta pagina del giornale e del telegiornale da una parte e dall'altra un evidente allargamento del significato, spesso totalmente e volutamente sganciato da quello originario.
Bene, veniamo al punto.
La parola incriminata è PARTECIPAZIONE.
Ce n'è gran bisogno nel nostro paese, ormai stufo di una democrazia per finta.
La destra risolve il problema con il richiamo alla massa, al popolo, in cui l'uno si identifica nel tutto e sente di essere parte attiva di un processo decisionale.
La sinistra risolve la questione con il richiamo alle primarie, momento taumaturgico nel quale il cittadino decide chi voterà nel corso di una competizione elettorale.
E' evidente che nessuna delle due scorciatoie funziona:
-la prima perchè il popolo viene sempre chiamato in causa da un capopopolo, spesso assetato di potere per se stesso;
-la seconda perchè la partecipazione non può essere ridotta al mettere una crocetta sul nome di qualcuno che è stato designato dalla nomenklatura o da gruppuscoli più o meno assetati di potere anch'essi (bisogna diffidare di chi si preoccupa del tuo futuro, ma sta molto attento che tu in questo futuro ci possa entrare con le tue gambe).
Purtroppo i principali schieramenti politici italiani, oggi, vengono da due storie che poco hanno a che vedere con la democrazia (ogni tanto bisognerebbe ricordaselo): la storia democristiana (e il cattolicesimo non è esattamente campione di democrazia) e la storia comunista (la cui degenerazione totalitaria non è negabile).
La soluzione? Cominciare col porre il problema, timidamente e qualunquemente.
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